La Cartapesta

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STORIA E TRADIZIONE

La Cartapesta

La cartapesta è una tecnica artistica molto antica. Già nel IV secolo a.C. i greci utilizzavano fibra di lino, stucco e colore per realizzare, le maschere comiche per il teatro. Il suo utilizzo a fini artistici è noto in Italia sin dal Cinquecento, dato che già allora si realizzavano statue a carattere sacro a somiglianza di quelle di legno. Però fu l’Inghilterra il paese dove questo materiale riscosse maggiore successo, a partire dalla seconda metà del Settecento, grazie anche all’innovativo metodo di decorazione delle superfici inventato da Thomas Allgood, denominato japanning, che influenzò la produzione decorativa inglese nella cartapesta. Infatti, da quel momento, la cartapesta venne impiegata al posto dello stucco nelle decorazioni di soffitti e muri.

Intorno al 1760, per i lavori di costruzione e rifinitura della chiesa di “West Wycombe” vennero chiamati operai italiani e questo evento fu una delle saldature fra la tradizione italiana più antica e le nuove diramazioni che l’attività sviluppò in Inghilterra successivamente. Lo stesso Robert Adam fece ampio ricorso a finti stucchi di cartapesta, e verso la fine de XVIII secolo si costruirono astucci, vassoi e persino mobili. Per rinforzare e rendere più durevoli i mobili si utilizzò una rivestitura impermeabile atta a laccare la superficie, mentre grazie alla plasticità del materiale si ottennero fogge pregevoli e originali. Nel Settecento e nell’Ottocento la cartapesta vive il suo periodo più rigoglioso in Occidente. Veniva utilizzata per produrre suppellettili, bambole, cavalli a dondolo, giocattoli e si realizzano anche soffitti, decorazioni dorate, scenografie teatrali.

E’ una delle più alte espressione dell’arte povera in quanto si basa sull’utilizzo solo di materiali di scarto che non gravava in nessun modo sull’economia degli umili artigiani che la lavoravano: vecchia carta, la segatura, la paglia, stracci filo di ferro e colla. Anche la colla era fatta in casa mescolando acqua e farina e cuocendole a fuoco lento fino ad ottenere un liquido trasparente. Una volta costruito l’oggetto, un pupo, il cavalluccio l’icona di un santo, con gli strati di carta o stoffa pressata e colla, spesso si fiammeggiava l’esterno, lasciando così l’opera al naturale. Talvolta si colorava. I colori erano ricavati da sostanze naturali, di origine vegetale e animale con una preparazione lunga e laboriosa e costi elevati. Le tonalità della terra: ocre, marroni, giallini e un po’ di rossi, si potevano creare con pochi elementi naturali facilmente reperibili e quindi erano quelli più diffusi. Per ottenere la brillantezza del colore si ricorreva a piccoli frammenti di conchiglie, che venivano polverizzate e mischiate al pigmento colorato. Uno dei colori più costosi era il colore blu: blu l’oltremare, ottenuto dai lapislazzuli e l’azzurrite. Per questo motivo la colorazione veniva riservata a opere religiose per rappresentare il cielo e la Madonna o le sante, e la chiesa, quando il committente dei lavori in Cartapesta era la Chiesa che poteva permettere una tale spesa. Sicuramente però la cartapesta aveva anche caratteristiche di leggerezza del composto, che diminuiva di molto il peso delle statue rispetto a quelle realizzate in legno, in ferro o in bronzo, e di plasmabilità che permetteva di ottenere più intense espressioni dei volti e delle fattezze.

In Italia l’arte della cartapesta è conosciuta dal grande pubblico soprattutto per le realizzazione dei carri allegorici del carnevale e nell’arte statuaria sacra. Per quattro secoli, fino al 1900, una grande scuola di artigiani-artisti in Sicilia e in Puglia, in particolare nella zona di Lecce, hanno realizzato santi, madonne e personaggi del presepe, presenti in tutte le chiese del sud. La tradizione delle statue religiose è quasi del tutto scomparsa, e l’arte della cartapesta sopravvive prevalentemente oggi nell’usanza dei carri di carnevale. I maestri di questa tecnica sono i carristi dei Carnevale di Foiano, Carnevale di Viareggio Carnevale di Acireale, Carnevale di Sciacca Carnevale di Putignano, Carnevale dei Ragazzi di Sant’Eraclio e i cartapestai della festa dei Gigli di Nola, della la festa della Bruna di Matera e i cartapestai dei giocattoli di Palazzolo Acreide (SR) dichiarato “Bene Dermoetnoantropologico Materiale” di interesse culturale. Una delle applicazioni più singolari della cartapesta nel mondo d’oggi è avvenuta in occasione del Disastro di Fukushima, a seguito del maremoto del 2011, durante il tentativo di tappare una falla in un reattore della centrale nucleare danneggiata di Fukushima in Giappone: i tecnici della “Tepco”, gestore dell’impianto, dopo l’utilizzo inefficace di calcestruzzo, hanno versato 8 kg di polimeri, 60 kg di segatura e 3 sacchi di giornali sminuzzati nel pozzo di sfogo collegato all’edificio delle turbine, pur di chiudere la crepa di 20 centimetri, limitare la fuoriuscita di radiazioni e il disastro ambientale La cartapesta è un’arte antica e modernissima in quanto arte green, arte del riciclo della carta che permette dal recupero degli scarti la creazione di oggetti di valore artistico